21 marzo 2012

“Fiat Innovationem!”E l'innovazione non fu. L'economia di mercato sociale italiana, e la sua nemesi; Il libero mercato.

Sarà il tempo, saranno questi discorsi sulla riforma del mercato del lavoro che mi sembrano francamente inutili o sarà questo articolo su RC dell'ottimo GPG Imperatrice, su Sergio Marchionne, ma ho pensato: perché non parlare della FIAT che a quanto pare sembra essere l'unica preoccupazione delle 'parti sociali' (chiunque siano costoro) e di alcuni temi come innovazione e imprenditoria? Nulla di organico per carità, semplici ragionamenti a ruota libera in questo pazzo pazzo paese.

Quello dell'auto è un settore che praticamente tutti gli stati considerano 'strategico' a tal punto essenziale che anche certi pensatori liberali strenui difensori del libero mercato tendono a fare eccezioni inteventiste per esso, ovviamente la mia obiezione è che nessun settore sia più importante di un altro al punto tale di andare a salvarlo con i soldi dei privati e che la strategicità sia attribuita arbitrariamente dalle autorità per giustificare l'intervento in determinati settori rispetto ad altri. Da politico posso capire che per un politico con ambizioni nazionale un settore che ancora impiega massicciamente una così alta densità di lavoratori potenziali elettori, sia un interesse politicamente strategico; solo pensare a quanti voti può portare il comparto anche più tetro portaborse inizierebbe ad eccitarsi. Detto questo anche chi politico non è, si accapiglia con passione su ogni tema che riguarda la FIAT (in Italia equivale a dire 'il settore dell'auto'); se vende o no, se licenzia o assume, se le auto sono buone o cattive in relazione alle altre, pare quasi che quella di Torino sia più che una fabbrica un dipartimento distaccato di qualche ministero economico e che questo giustifichi l'impiego di leggi speciali, contributi e addirittura stravolgimenti normativi in testi quasi considerati sacri dalla nomenclatura sindacalista. In effetti è difficile pensare che quella sia una azienda privata, dato che le sue fortune sono sempre state legate in qualche modo allo stato italiano indipendentemente dalla forma di questo fosse Sabaudo, Fascista o Socialdemocratico, la FIAT c'è sempre stata e in qualche modo ne ha sempre beneficiato questo rende a tutti gli effetti l'impresa un ente parastatale verso il quale solo poche voci nella storia del nostro paese quale quella di don Luigi Sturzo si sono levate contro, gocce nel mare confronto alla comune e insensata adorazione di un settore che fino ad oggi non ha dovuto chiedere mai con troppa forza gli aiuti di stato visto che le stesse istituzioni sono sempre accorse in soccorso del Lingotto senza mai dubitare della giustezza e della moralità di tali aiuti.

C'è da sorprendersi che FIAT, con un passato fatto di contributi, finanziamenti e commesse pubbliche, fabbriche datate, modelli poco curati, e strategie di mercato al limite dell'inedia non sia un leader di mercato come Toyota o Volkswagen? C'è da sorprendersi che aziende come la VW con una storia di successo lunga probabilmente 40 anni continui in sintonia con quell'andamento facendo della reputazione, del profitto e del continuo progresso il proprio stendardo, mentre un azienda che per una vita ha vissuto sotto l'ombrello pubblico oggi non sia capace ne di essere competitiva, ne innovativa e sopratutto profittevole? C'è da sorprendersi che un azienda da sempre designata come 'Troppo Grande per Fallire' non abbia mai seguito il mercato con troppa insistenza pensando che era meglio buttare un occhio ai ministeri piuttosto che alla soddisfazione dei clienti? Beh, qualcuno si sorprende, il che per me è... sorprendente! Dal canto mio, questi sviluppi mi sembrano solo l'ennesima, ripetitiva, scontata e francamente attendibile riprova che l'intervento dello stato in economia sia il miglior modo per demolire l'economia e sperperare risorse, miliardi di lire prima e milioni di euro poi buttati nel nulla di un'azienda parastatale che dopo innumerevoli favori ci saluterà e ci dirà 'addio' e che lascerà in questo paese solo il cerino dei disoccupati e (forse) la sede legale, pensate solo per un momento quanti dei vostri soldi, cari lettori, soldi che avete duramente guadagnato con la forza delle vostre braccia e del vostro intelletto che sono andati a salvare un azienda e i suoi dipendenti, mentre per voi, probabilmente non ci saranno ne salvataggi e nemmeno casse integrazioni, fa una certa impressione non è vero? Chissà quante altre aziende, prodotti, servizi e investimenti quei soldi avrebbero finanziato e quanta ricchezza si sarebbe diffusa... purtroppo non lo sapremo mai.

Qualcuno vi dirà che la colpa è del governo che non ha avuto una giusta politica industriale. Ma se voi siete italiani come me, saprete quasi certamente che tali pianificazioni non erano altro che modi per barare al tavolo del mercato a favore di pochissimi e fortunatissimi amici degli amici, che uno stato a limite dell'antidemocratico quale il nostro è, utilizzava non per promuove le libertà economiche e l'attività imprenditoriale bensì per creare un tipo di economia nuovo (???) sotto il controllo dello burocrazia con il potere della legge, i soldi dei contribuenti, le manipolazioni finanziarie e il fisco rapace. Il fatto che oggi tutto crolli non è causato dall'assenza della pianificazione ma della sua presenza nei precedenti quarant'anni, grazie a tutti questi piani economici e ai loro geniali ideatori siamo riusciti a passare da settimo paese industrializzato al mondo sorretto generalmente da quei principi che citavo nel mio articolo precedente a lettera I dell'acronimo PIIGS, allo stesso rango di Portogallo, Grecia, Irlanda e Spagna, e questo mette in luce quanto sia alto il livello di decadenza italico e quanto realmente i mercati si fidino di noi, nonostante l'austero parlare di Monti e indipendente dalle alchimie finanziarie che Mario Draghi, i mercati non si fidano di noi perchè nessuno vuole investire in Italia, nemmeno gli Italiani, e qui c'è poco da fare i patriottici nessuno vuole perdere quello che possiede investendo in un ambiente dove non esistono condizioni per l'investimento

Altro grande tema è l'innovazione, spesso sento dire che la risposta ad ogni problema è 'ricerca e innovazione', con queste due e solo queste due si diventa ricchi e questo è un concetto che ancora aleggia nella mente di molti commentatori economici anche di quelli liberali. Purtroppo mi dispiace contraddire i colleghi, dirò qualcosa di sconvolgente, la tecnologia è un fattore importante ma non così importante come credete, di per se le idee anche le più sconvolgenti non fanno nulla senza un solido capitale alle spalle, i capitali sono il punto chiave del successo di un azienda, senza di essi non c'è possibilità di sviluppare, testare e promuovere quello che si ha figuriamoci lanciarsi in settori sconosciuti. Le aziende non hanno bisogno che una serie di Soloni spieghino loro che l'innovazione e la ricerca sono importanti, le buone aziende guidate dai giusti imprenditori sanno quale sia il valore delle nuove tecniche e delle innovazioni per questo hanno bisogno di accumulare capitali, solo così possono migliorare progressivamente i loro prodotti e all'occasione inventarne di nuovi. Se non si capisce che i capitali sono la base del capitalismo e che l'imprenditoria non è solo una questione di innovazione, anzi, che alcuni grandi imprenditori non sono affatto innovativi sono solo validi organizzatori, brillanti gestori che si relazionano con l'incertezza del mercato utilizzando al meglio ciò di cui dispongono e introducendo alla bisogna nuovi paradigmi, allora non riusciremo a comprendere a pieno quale sia la vera forza dell'economia di mercato e cosa dobbiamo fare per permetterle di svilupparsi a pieno, finiremo per rimanere intrappolati nell'idea 'scientista' che per fare impresa con profitto bisogna essere ingegneri nucleari, maghi dell'elettronica o gli scopritori del moto perpetuo, quando esistono migliaia di settori già esistenti e di tecniche già testate e di modi di produzione da utilizzare e da affinare, che potrebbero portare profitti, lavoro, prosperità e in ultima analisi anche risorse per la ricerca e nuove tecnologie se solo il governo smettesse di sequestrare denaro alle aziende e ai risparmiatori e se magari, dico magari, le politiche economiche e monetarie fossero meno rivolte all'ingegneria sociale e alla spesa pubblica e più indirizzate verso l'onestà del sistema finanziario e della moneta.


Per rimanere in tema di innovazione pensate a Steve Jobs e Steve Wozniak, tutti conoscono la storia dei due scapestrati che fondarono la 'Apple' nel garage di Woz, ma qualcuno si è mai domandato come avranno fatto due poco qualificati visionari ad ottenere i soldi con cui lanciarsi in un settore sconosciuto nel 1970? Due possibilità;

A - Si sono presentati ad una filiale della Bank of America dicendo 'Salve noi vogliamo creare dei computer domestici sappiamo che al momento non c'è alcun mercato per questi prodotti ma sapete abbiamo fatto delle riunioni con appassionati del settore e tutti ci hanno riempito di complimenti, ah dimenticavamo, non abbiamo garanzie da offrirvi ci fate un finanziamento'?

B - Sono andati al ministero delle attività produttive dicendo 'Salve, siamo due che non hanno nemmeno fatto l'università, ma siamo giovani e innovatori. Abbiamo pensato di costruire computers per l'uomo medio, ci fate un finanziamento a fondo perduto?'

Ebbene vi tolgo i dubbi, semmai ne aveste, ne A e ne B.
Nessuno avrebbe finanziato quei due pazzoidi, le innovazioni vanno a scoprire mercati sconosciuti e di solito i finanziatori istituzionali non sono molto propensi a gettarsi troppo all'avventura, per questo servono precursori, esploratori dell'ignoto dotati e dotati di un forte senso del rischio, speculatori di prima classe che intravedono il miraggio di un enorme profitto. Ebbene, forse non avremmo mai sentito parlare di questi due e dei loro prodotti se non fosse arrivato un giovane (32 anni) venture capitalist con un passato alla Intel (le cui stock-option gli fruttarono una fortuna) che investì ben 250.000 $ del 1977 (quasi un milione di dollari odierni) di nome Mike Markkula, che fu anche primo CEO, consigliere e beta-tester dei nuovi prodotti della nuova azienda. Markkula fu un investitore e un consigliere prezioso per i due giovani inventori che saranno stati pure geniali nel loro lavoro ma che erano decisamente inesperti nel settore dell'imprenditoria e senza il becco di un quattrino, Wozniak ammise in una sua intervista che senza Mike il successo di quella che oggi è una delle aziende più eccitanti del pianeta non si sarebbe mai potuto realizzare. Eppure chi parla di questo personaggio? Pochissimi, Markkula non era un innovatore materiale era uno scopritore di innovatori e ha continuato ad esserlo: avete presente i vostri telecontatori dell'ENEL, bene li produce la Echelon Corporation altra società di Markkula e queste non sono le uniche cose che ha finanziato e aiutato a venir su. Sorprendente? Normalissimo, esistono migliaia di piccoli Markkula (e soggetti anche più grossi), il profitto li guida e senza il loro fiuto non avremmo potuto avere quelle tecnologie e quei progressi che hanno semplificato la vita di milioni di persone, questo è il capitalismo, bamboli, niente di più. Se tali capitalisti non fossero esistiti e se i nostri due stramboidi geniali fossero vissuti in un altro paese probabilmente le loro idee sarebbero rimaste nel dimenticatoio come migliaia di altre idee geniali di cui il pianeta è pieno e che hanno avuto la sfortuna di essere sviluppate in paesi dove questa mentalità imprenditoriale non esiste o dove vige un regime fortemente burocratico. In questi ambienti, di cui l'Italia fa orgogliosamente parte sin dalla sua nascita, un azienda come Apple non sarebbe mai nata o quantomeno non avrebbe mai potuto sviluppare quella meravigliosa combinazione di marketing e innovazione, con quella valanga di profitti che genera e che continua a generare probabilmente la 'Mela italica' avrebbe fatto la fine della Olivetti e voglio essere ottimista perché Olivetti non era una compagnia nata in un garage e non era condotta da due senza nemmeno lo straccio di un titolo. Sono troppo drammatico? Non credo, questo è il filo conduttore dei paesi socialisti o ad economia mista (dunque pseudo-socialisti), la grande industria si fa solitamente per legge, per corruzione, per amicizia e non per inventiva e investimento e quelle volte che qualcuno prova ad emergere dal basso il primo pensiero dello stato è come fare a martellarlo giù nel mucchio, impedendogli di accumulare capitali e bloccando il mercato con norme sempre più compulsive e demenziali, il potere pubblico inventa subito nuovi modi per sequestrare i profitti, alimentare la burocrazia, perseguire i leader del mercato, per il loro 'ingiusto successo', dove per ingiusto si intende qualsiasi successo. Questo è il modello di sviluppo che gli stati che occupano oltre il 50% dell'economia e sequestrano il 70% dei redditi perseguono o verso il quale degradano, prima o poi e noi Europei siamo proprio il caso in questione.

Che dire di Marchionne? Probabilmente hanno ragione i suoi avversari, è antipatico, presuntuoso e forse anche un bugiardo perché non dice le cose come stanno, ma questo è quello che l'Italia vuole, avendo scoraggiato e avversato costantemente ogni imprenditore e amministratore onesto spingendo i propri migliori cittadini ad emigrare o a vivere una vita mediocre in un paese decadente. Oggi dunque bisogna fare i conti con il nuovo amministratore della Chrysler, perchè non ho creduto nemmeno per un secondo che la Fiat abbia comprato la Chrysler e non viceversa, che sta cercando di fare leva sul massimalismo e l'anti-capitalismo italiano per farsi buttare fuori dal paese eliminando così tutti i vecchi rimasugli della politica di collusione con lo stato italiano che lo legano ancora a questo territorio, primi fra tutti la maggior parte degli stabilimenti costruiti con i contributi pubblici per soddisfare le esigenze delle politiche economiche, stabilimenti che mai la FIAT avrebbe costruito e che verranno progressivamente abbandonati insieme a tutta la forza lavoro non richiesta e per la quale la FIAT non si sente più di dover pagare, avendo capito che l'epoca in cui gli aiuti di stato arrivavano a richiesta è finita, che l'Italia è un paese in bancarotta. A mio modo di vedere questo è quello che Marchionne sta facendo, in modo spietato a volte, gettando fumo negli occhi dei burocrati e politicanti altre volte, ma questo ripeto è quello che il falso-ideologico dell'economia di mercato sociale che lo stato italiano ha generato, e con la quale oggi deve i conti. Questo è il prezzo da pagare ogni qual volta si inventano settori strategici da sostenere a qualsiasi costo anche socializzando le perdite, prima o poi si deve mettere in conto che quelle aziende 'salvate' non saranno riconoscenti seguiranno comunque la loro convenienza e lasceranno l'economia nazionale o per morte naturale o per trasferimento.

15 marzo 2012

Il common-sense Italiano in economia e la riluttanza delle elites

Un articolo di Paolo Rebuffo, (aka funnyking) ha fatto scaturire questo 'commento' che ho deciso di fare diventare un articolo a mia volta. Rebuffo mostra quale sia la portata del fenomeno della chiusura dei conti correnti e le motivazioni che spingono molti italiani a disertare da un fallimentare sistema bancario quale il nostro, nonostante le belle parole delle autorità economiche e i benchmark sintetici che non hanno mai segnalato alcun problema. L'articolo è stato la molla che mi ha portato ha scrivere questa riflessione sul metodo economico dell'italiano comune e sul punto di vista degli italiani 'fuori dal comune' che quasi sempre costituiscono l'elites della nazione.

Molto spesso sentiamo parlare di 'fondamentali solidi' quando un qualsiasi politico o economista nostrano parla d'Italia (generalmente dopo una legnata dei mercati) elencando dati quali come la solidità e la solvibilità delle Banche (cose opinabili) e altri dati statistici che secondo gli oratori costituiscono i 'fondamenti' economici del nostro paese.
Essendo io un individualista metodologico, non mi convincono molto questi macro-dati, che tuttalpiù potrebbero essere definiti come aspetti esterni della solidità economica, qualora fossero veritieri, ma non come i fondamenti in senso proprio. Se l'economia è l'interconnessione delle azioni di tutti gli individui, i fondamenti della solidità dei paesi sono da ricercarsi nel comportamento degli individui stessi non nelle approssimazioni statistiche e nei modelli matematici, nel caso specifico gli aspetti di solidità reale dell'economia italiana sono da ricercarsi nelle tendenze all'investimento in beni durevoli (fra cui gli immobili) nel privilegio concesso al denaro contante rispetto ai mezzi fiduciari, che vengono utilizzati con molta cautela, il tutto contornato da un senso del risparmio molto sviluppato tipico di un popolo abituato a vivere in condizioni difficili ed in coerenza con i propri mezzi. Questi comportamenti, che con un termine puramente legale potremmo dire essere quelli del buon padre di famiglia e del buon investitore sono visti con sempre maggiore ostilità da chi guida il paese, ultimo fra tutti, il professor Mario Monti, il cui operato, tutto proteso a 'modificare le nostre abitudini', come dichiarato al giornale Time, mi ha fatto ricordare il monito di un altro professore Ludwig von Mises che consigliava cautela verso gli intellettuali e il loro potenziale operato contro i propri simili.

Non è ben chiaro quando questi comportamenti siano diventati una 'barbara abitudine' da scardinare, sopratutto il binomio  risparmio extra-bancario e uso del denaro contante, la cui combinazione benché perfettamente razionale e assolutamente desiderabile dal punto di vista dei singoli soggetti, è considerata come un ostacolo da chi ha piani più vasti che richiedono soggetti meno autonomi e meno anonimi. Ecco dunque il fiorire di discussioni sull'arretratezza degli italiani propugnate da intellettuali economicamente dementi, politici altrettanto ignoranti (o in mala fede), professori 'anglicizzati' e banchieri alla spasmodica caccia di liquido. Queste potenti forze hanno esortato i cittadini ad abbandonare la carta (straccia ma reale) in favore della carta di credito e degli assegni per realizzare anche da noi di quella 'società fondata sui debiti' che tanto sembrava funzionare bene in tutto il resto del mondo, e qui il sembrava è d'obbligo.
Non attaccando questa tattica, si è passati gradualmente alla criminalizzazione del contante (e quindi del common-sense) sostenendo il parallelismo assurdo "denaro contante = criminalità" (come dire coltello=assassino o pistola=delinquente) creando subito una presunzione di colpevolezza 'assoluta' in chi non gradisce l'uso di mezzi fiduciari, su questa falsariga la promozione e l'attuazione di limitazioni sempre più pesanti al pagamento in contanti, sostenute non a caso da tutti i 'boiardi' dell'economia mainstream fra i quali illustri banchieri oggi ministri o sottosegretari e 'grandi' economisti e/o ex-presidenti del consiglio. L'idea è sempre la solita, bisogna stanare 'i risparmi' delle famiglie e costringerli a spendere più di quanto non farebbero, perché secondo un principio tutto keynesiano, il risparmio è male, una pulsione da combattere, ancora peggio in tempo di crisi, dove bisogna 'raccattare' ogni centesimo per fare partire quei programmi di investimento pubblico che dovrebbero annullare la crisi, almeno in teoria, seguendo una teoria che non ha mai risolto una crisi, ma che ha dato grande potere allo stato e molta instabilità alle persone.

A mio parere quello che non funziona nell'economia italiana non è l'impostazione dei singoli soggetti, questa nazione è sempre stata forte nel commercio e nella finanza, sin dai tempi del medioevo, le nostre conoscenza 'microeconomiche' sono sostanzialmente le migliori del mondo, la propensione al risparmio, lo spiccato senso imprenditoriale, la tendenza all'avventura e dunque al rischio di impresa, la propensione al denaro 'solido' (più solido possibile) e la la diffidenza del credito hanno fatto della nostra economia quello che oggi è nonostante tutto. Il problema è che questo paese ed il suo 'common sense' non si abbina agli strambi approcci macroeconomici che intellettuali e politici propugnano con forza come panacea di ogni crisi, l'Italia è il migliore esempio a sostegno dell'economia di mercato vera, quella dal basso; non è un caso che le nostre migliori aziende siano quelle che nulla o poco hanno a che fare con lo stato mentre quelle che si trovano in cronica carenza di ossigeno ed idee siano sempre quelle che in qualche maniera hanno usufruito di sconti, finanziamenti, protezioni o privilegi, quello che ci ha reso grande nel mondo, non è stato partorito dalle menti dei grandi economisti, dei capitalisti assistiti o da qualche oscuro burocrate operante negli ex-istituti Beneduce, come L'IRI, il made in italy, è frutto del genio di singoli estremamente dinamici e dotati di uno spirito imprenditoriale più forte della cappa statalista che circonda la nazione, questi soggetti paradossalmente sono animati da quei semplici principi economici che i governi di ogni tempo si sono impegnati a reprimere o combattere.
I modelli che le nostre elites vorrebbero applicare sono l'esatto opposto della solidità e dell'economia di mercato, i loro piani prevedendo un economia calata dall'alto, tali piani non si associano con chi è veramente animato da quello spirito di impresa che ci contraddistingue, ma questo non ferma il progressismo di una certa parte di elite che tentano comunque di imporre il loro modo di pensare anche utilizzando lo strumento mediatico da qui i mille paragoni con questo o quel paese d'Europa, e se non bastasse gli interventi normativi sempre più dettagliati e bizzarri che più che 'regolare' degli aspetti funzionali al sistema economico, vogliono 'creare' un sistema economico che funzioni secondo dei dettami statici, follia allo stato puro.
In pratica la lotta è sempre lo stessa la libertà contro la coercizione; E' più importante la realtà o l'idea della realtà? La legge deve essere espressione del popolo o il popolo deve essere plasmato dalla legge?

Quello che non funziona in questo paese è il tentativo di 'cambiare le menti degli italiani' per farli diventare qualcosa che non sono o che non vogliono essere, il tentativo di omogeneizzare noi ad altri è del tutto vano, la grande eterogeneità e il forte spirito individuale che abbiano non dovrebbe essere sempre indicato come 'il problema' ma riconosciuto come la vera 'forza' di questa penisola piccola territorialmente povera di materie prime, ma ricca di spunti e di possibilità come solo poche altre terre al mondo. Se la nostra economia non è arrivata a quei livelli di ricchezza e solidità a cui avrebbe potuto tranquillamente assurgere, lo si deve solamente alla tendenza dello stato e della politica di interferire con il nostro modus vivendi e operandi, dove per interferenza non si intende la 'punizione' dei malcostumi e della criminalità ma la sostituzione forzosa dei modi di fare e di operare sulla base di un ipotetico 'ottimo' che guarda caso è sempre distante anni luce dal nostro consueto essere. In economia ad esempio il tentativo di immettere forzosamente modelli macroeconomici 'socialdemocratici' per il gusto di copiare questo o quell'altro paese europeo, rinnegando quei semplici principi di 'salute economica' che ci contraddistinguono da secoli, ha generato questo sfacelo di debiti, lassismo e assistenzialismo, mediato solo in parte dalle antiche tendenze che ancora sopravvivono nelle nostre PMI oggi sempre meno libere di applicarle. Se lo Stato decidesse finalmente di smettere la sua inutile crociata per 'cambiare le menti degli Italiani' e di conseguenza se smettessimo di scopiazzare altri sistemi che nulla hanno a che vedere con i nostri, forse potremmo veramente raggiungere risultati impensabili non solo sotto il profilo economico.

Ricordo che da più di 150 anni qualcuno ha fatto 'L'Italia' e sta cercando di fare gli Italiani, senza successo, forse sarebbe ora di capire che se è relativamente facile conquistare terre e imporvi leggi, lingue e valute è praticamente impossibile plasmare le menti della gente a proprio piacimento e contro la loro volontà, l'Italia non sarà mai ricca, solida e unita, fin quando non si porrà fine a questo centenario esperimento di 'fusione forzosa' e di 'modellazione della realtà'. Noi non abbiamo bisogno di essere qualcos'altro o qualcun altro, quello di cui abbiamo bisogno è lo spazio per essere noi stessi, senza governi e stati che impongano su tutti il proprio volere spacciandolo per 'bene comune'.

Vogliamo fare una vera Italia? Bene, lasciamo in pace gli Italiani.