15 marzo 2012

Il common-sense Italiano in economia e la riluttanza delle elites

Un articolo di Paolo Rebuffo, (aka funnyking) ha fatto scaturire questo 'commento' che ho deciso di fare diventare un articolo a mia volta. Rebuffo mostra quale sia la portata del fenomeno della chiusura dei conti correnti e le motivazioni che spingono molti italiani a disertare da un fallimentare sistema bancario quale il nostro, nonostante le belle parole delle autorità economiche e i benchmark sintetici che non hanno mai segnalato alcun problema. L'articolo è stato la molla che mi ha portato ha scrivere questa riflessione sul metodo economico dell'italiano comune e sul punto di vista degli italiani 'fuori dal comune' che quasi sempre costituiscono l'elites della nazione.

Molto spesso sentiamo parlare di 'fondamentali solidi' quando un qualsiasi politico o economista nostrano parla d'Italia (generalmente dopo una legnata dei mercati) elencando dati quali come la solidità e la solvibilità delle Banche (cose opinabili) e altri dati statistici che secondo gli oratori costituiscono i 'fondamenti' economici del nostro paese.
Essendo io un individualista metodologico, non mi convincono molto questi macro-dati, che tuttalpiù potrebbero essere definiti come aspetti esterni della solidità economica, qualora fossero veritieri, ma non come i fondamenti in senso proprio. Se l'economia è l'interconnessione delle azioni di tutti gli individui, i fondamenti della solidità dei paesi sono da ricercarsi nel comportamento degli individui stessi non nelle approssimazioni statistiche e nei modelli matematici, nel caso specifico gli aspetti di solidità reale dell'economia italiana sono da ricercarsi nelle tendenze all'investimento in beni durevoli (fra cui gli immobili) nel privilegio concesso al denaro contante rispetto ai mezzi fiduciari, che vengono utilizzati con molta cautela, il tutto contornato da un senso del risparmio molto sviluppato tipico di un popolo abituato a vivere in condizioni difficili ed in coerenza con i propri mezzi. Questi comportamenti, che con un termine puramente legale potremmo dire essere quelli del buon padre di famiglia e del buon investitore sono visti con sempre maggiore ostilità da chi guida il paese, ultimo fra tutti, il professor Mario Monti, il cui operato, tutto proteso a 'modificare le nostre abitudini', come dichiarato al giornale Time, mi ha fatto ricordare il monito di un altro professore Ludwig von Mises che consigliava cautela verso gli intellettuali e il loro potenziale operato contro i propri simili.

Non è ben chiaro quando questi comportamenti siano diventati una 'barbara abitudine' da scardinare, sopratutto il binomio  risparmio extra-bancario e uso del denaro contante, la cui combinazione benché perfettamente razionale e assolutamente desiderabile dal punto di vista dei singoli soggetti, è considerata come un ostacolo da chi ha piani più vasti che richiedono soggetti meno autonomi e meno anonimi. Ecco dunque il fiorire di discussioni sull'arretratezza degli italiani propugnate da intellettuali economicamente dementi, politici altrettanto ignoranti (o in mala fede), professori 'anglicizzati' e banchieri alla spasmodica caccia di liquido. Queste potenti forze hanno esortato i cittadini ad abbandonare la carta (straccia ma reale) in favore della carta di credito e degli assegni per realizzare anche da noi di quella 'società fondata sui debiti' che tanto sembrava funzionare bene in tutto il resto del mondo, e qui il sembrava è d'obbligo.
Non attaccando questa tattica, si è passati gradualmente alla criminalizzazione del contante (e quindi del common-sense) sostenendo il parallelismo assurdo "denaro contante = criminalità" (come dire coltello=assassino o pistola=delinquente) creando subito una presunzione di colpevolezza 'assoluta' in chi non gradisce l'uso di mezzi fiduciari, su questa falsariga la promozione e l'attuazione di limitazioni sempre più pesanti al pagamento in contanti, sostenute non a caso da tutti i 'boiardi' dell'economia mainstream fra i quali illustri banchieri oggi ministri o sottosegretari e 'grandi' economisti e/o ex-presidenti del consiglio. L'idea è sempre la solita, bisogna stanare 'i risparmi' delle famiglie e costringerli a spendere più di quanto non farebbero, perché secondo un principio tutto keynesiano, il risparmio è male, una pulsione da combattere, ancora peggio in tempo di crisi, dove bisogna 'raccattare' ogni centesimo per fare partire quei programmi di investimento pubblico che dovrebbero annullare la crisi, almeno in teoria, seguendo una teoria che non ha mai risolto una crisi, ma che ha dato grande potere allo stato e molta instabilità alle persone.

A mio parere quello che non funziona nell'economia italiana non è l'impostazione dei singoli soggetti, questa nazione è sempre stata forte nel commercio e nella finanza, sin dai tempi del medioevo, le nostre conoscenza 'microeconomiche' sono sostanzialmente le migliori del mondo, la propensione al risparmio, lo spiccato senso imprenditoriale, la tendenza all'avventura e dunque al rischio di impresa, la propensione al denaro 'solido' (più solido possibile) e la la diffidenza del credito hanno fatto della nostra economia quello che oggi è nonostante tutto. Il problema è che questo paese ed il suo 'common sense' non si abbina agli strambi approcci macroeconomici che intellettuali e politici propugnano con forza come panacea di ogni crisi, l'Italia è il migliore esempio a sostegno dell'economia di mercato vera, quella dal basso; non è un caso che le nostre migliori aziende siano quelle che nulla o poco hanno a che fare con lo stato mentre quelle che si trovano in cronica carenza di ossigeno ed idee siano sempre quelle che in qualche maniera hanno usufruito di sconti, finanziamenti, protezioni o privilegi, quello che ci ha reso grande nel mondo, non è stato partorito dalle menti dei grandi economisti, dei capitalisti assistiti o da qualche oscuro burocrate operante negli ex-istituti Beneduce, come L'IRI, il made in italy, è frutto del genio di singoli estremamente dinamici e dotati di uno spirito imprenditoriale più forte della cappa statalista che circonda la nazione, questi soggetti paradossalmente sono animati da quei semplici principi economici che i governi di ogni tempo si sono impegnati a reprimere o combattere.
I modelli che le nostre elites vorrebbero applicare sono l'esatto opposto della solidità e dell'economia di mercato, i loro piani prevedendo un economia calata dall'alto, tali piani non si associano con chi è veramente animato da quello spirito di impresa che ci contraddistingue, ma questo non ferma il progressismo di una certa parte di elite che tentano comunque di imporre il loro modo di pensare anche utilizzando lo strumento mediatico da qui i mille paragoni con questo o quel paese d'Europa, e se non bastasse gli interventi normativi sempre più dettagliati e bizzarri che più che 'regolare' degli aspetti funzionali al sistema economico, vogliono 'creare' un sistema economico che funzioni secondo dei dettami statici, follia allo stato puro.
In pratica la lotta è sempre lo stessa la libertà contro la coercizione; E' più importante la realtà o l'idea della realtà? La legge deve essere espressione del popolo o il popolo deve essere plasmato dalla legge?

Quello che non funziona in questo paese è il tentativo di 'cambiare le menti degli italiani' per farli diventare qualcosa che non sono o che non vogliono essere, il tentativo di omogeneizzare noi ad altri è del tutto vano, la grande eterogeneità e il forte spirito individuale che abbiano non dovrebbe essere sempre indicato come 'il problema' ma riconosciuto come la vera 'forza' di questa penisola piccola territorialmente povera di materie prime, ma ricca di spunti e di possibilità come solo poche altre terre al mondo. Se la nostra economia non è arrivata a quei livelli di ricchezza e solidità a cui avrebbe potuto tranquillamente assurgere, lo si deve solamente alla tendenza dello stato e della politica di interferire con il nostro modus vivendi e operandi, dove per interferenza non si intende la 'punizione' dei malcostumi e della criminalità ma la sostituzione forzosa dei modi di fare e di operare sulla base di un ipotetico 'ottimo' che guarda caso è sempre distante anni luce dal nostro consueto essere. In economia ad esempio il tentativo di immettere forzosamente modelli macroeconomici 'socialdemocratici' per il gusto di copiare questo o quell'altro paese europeo, rinnegando quei semplici principi di 'salute economica' che ci contraddistinguono da secoli, ha generato questo sfacelo di debiti, lassismo e assistenzialismo, mediato solo in parte dalle antiche tendenze che ancora sopravvivono nelle nostre PMI oggi sempre meno libere di applicarle. Se lo Stato decidesse finalmente di smettere la sua inutile crociata per 'cambiare le menti degli Italiani' e di conseguenza se smettessimo di scopiazzare altri sistemi che nulla hanno a che vedere con i nostri, forse potremmo veramente raggiungere risultati impensabili non solo sotto il profilo economico.

Ricordo che da più di 150 anni qualcuno ha fatto 'L'Italia' e sta cercando di fare gli Italiani, senza successo, forse sarebbe ora di capire che se è relativamente facile conquistare terre e imporvi leggi, lingue e valute è praticamente impossibile plasmare le menti della gente a proprio piacimento e contro la loro volontà, l'Italia non sarà mai ricca, solida e unita, fin quando non si porrà fine a questo centenario esperimento di 'fusione forzosa' e di 'modellazione della realtà'. Noi non abbiamo bisogno di essere qualcos'altro o qualcun altro, quello di cui abbiamo bisogno è lo spazio per essere noi stessi, senza governi e stati che impongano su tutti il proprio volere spacciandolo per 'bene comune'.

Vogliamo fare una vera Italia? Bene, lasciamo in pace gli Italiani.

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